Image by Sofia Runarsdotter

Benedetta Crippa è graphic designer e consulente di comunicazione, nata in Italia e con il proprio studio a Stoccolma, Svezia. Forte di un distinto linguaggio visivo e profonda esperienza delle meccaniche del design grafico, lavora sia come direttore creativo che come artigiana, con commissioni per identità visive, interventi ornamentali e consulenza. È anche riconosciuta educatrice e ricercatrice sulle intersezioni tra cultura visiva e potere. Relatrice coinvolgente, interviene regolarmente sulla sostenibilità visiva e sull’impatto trasformativo dell'estetica.

Sei nata in Italia e, dopo aver studiato e svolto la tua prima esperienza lavorativa, ti sei spostata all’estero dove hai fondato il tuo studio a Stoccolma. Qual è stato il motivo principale del tuo trasferimento all'estero e quali differenze hai riscontrato nel mestiere di design con l'Italia?

Il mio non è stato un cammino lineare; dopo la laurea in Italia e due anni in Studio Camuffo a Venezia (ancora da studente), sono prima andata in Nepal, per poi spostarmi in Svezia più per un incontro fortuito che per intenzione. Ma sapevo di cercare un "di più" professionale e personale. Sono seguiti due anni ancora in Nepal e in Asia Centrale, per poi tornare a studiare e lavorare in Svezia. Qui ho trovato l'ambiente pedagogico ideale per fiorire creativamente, un MFA forte di una metodologia femminista che incoraggiava lo sviluppo di una voce visiva propria e distintiva — a differenza delle mie precedenti esperienze da studente in Italia. 10 anni dopo, c'è tanto che devo sia alla Svezia che all'Italia. Riguardo al design grafico, il campo professionale è attualmente in sofferenza ovunque, e simili problematiche si possono riscontrare in Italia così come nei paesi nordici. La differenza sostanziale è che in Svezia troviamo molte più donne nella posizione di prendere decisioni, e meno pregiudizio verso professioniste donne, il che mi ha permesso di sostenere lo studio e ricevere commissioni nel design, così come nell’insegnamento e la ricerca. E nonostante in Svezia non ci sia una tradizione del design grafico comparabile a quella italiana, è in Svezia che oggi si trovano alcune delle professioniste più interessanti in Europa, che stanno allargando le prospettive della professione. Questo mi ha permesso di inserirmi in una comunità che sta affrontando alcune delle discussioni più cruciali per il futuro della comunicazione visiva.

Konstfack Degree Exhibition Identity, 2022

Come progettista attiva nella comunità, hai partecipato a eventi sia in Italia che all'estero. Credi che nel campo del design esista ancora una disparità di genere? Se sì, quali azioni pensi si possano intraprendere per affrontare questa situazione e cosa stai personalmente facendo al riguardo?

Non è questione di credere, quanto di prenderne atto e di agire per un cambiamento necessario e urgente. La discriminazione contro le donne, così come in tutti i campi, sta limitando il campo della grafica nel modo in cui sistematicamente scoraggia ed esclude le professioniste, il cui immenso contributo va perso. Chiunque dichiari di avere a cuore la giustizia, l'imparzialità, l'eccellenza dovrebbe avere questo al centro delle proprie preoccupazioni. Nonostante gli studenti di design siano per la maggior parte donne, la maggior parte di queste lascia il campo professionale poco dopo la laurea, per una miriade di ostacoli e prima di tutto per il pregiudizio e la mancanza di fiducia verso di loro, che si traduce in una epidemica mancanza di lavoro. Questo è vero anche in Svezia, dove la maggior parte delle mie colleghe ha dovuto lasciare la libera professione e spostarsi o come subordinate in agenzie già affermate, o sull’insegnamento o la ricerca. Le azioni da intraprendere sono da intraprendere a livello sistemico, è il pregiudizio negativo verso la donna la cosa oltre cui dobbiamo evolvere. La solidarietà femminile è il primo passo, parlarne e costruire un linguaggio il secondo, e poi ce ne sono molti altri che non potrei coprire in questo spazio limitato. Personalmente, quello che faccio è lavorare, costruire solidarietà e rendere testimonianza ogni giorno di quello che le designer donne possono fare. Ma preferirei non dovermi occupare di questo, non dover testimoniare nulla e potermi solo concentrare sul mio lavoro, come fanno i miei colleghi uomini. Questo è ciò che auguro alle mie colleghe delle generazioni future — la possibilità di lavorare senza doverne creare le condizioni.

Osservando il tuo sito e i progetti pubblicati, si nota l'applicazione di un metodo specifico nella tua pratica di progettazione, con un forte focus sulla ricerca. Oltre all'aspetto estetico dei tuoi progetti, qual è il tuo obiettivo principale come progettista?

Il design è un atto di cura, di anticipazione dei bisogni e di costruzione della bellezza. Il design migliora la qualità della vita, fa uscire dall'alienazione (nelle parole di Ettore Sottsass) e ci riporta alla coscienza di chi siamo. Questo è ciò che amo del design, rispetto per esempio all'arte o all'ingegneria, ed è questo il mio obiettivo attraverso le mie scelte professionali e estetiche. Ultimamente ho trovato il coraggio di celebrare il mio amore per l'estetica, che soprattutto nel campo del design grafico negli ultimi 30-50 anni è stata relegata a un vezzo frivolo. Al contrario, sono più che mai conscia che nulla conti di più dell'estetica in quanto interfaccia tra i nostri corpi sensoriali, il mondo che abitiamo e ogni singola nostra scelta quotidiana.

Elsa, climate calculator, 2022

Quali sono le tue prospettive per l'evoluzione della tua pratica di progettista in futuro e come immagini che il tuo studio possa crescere di conseguenza?

Il mio obiettivo nel corso dei prossimi 10 anni è di focalizzarmi sempre sugli aspetti ornamentali del design, su un certo artigianato della bellezza con cura particolare per l'estetica e il saper fare.

Partecipi a molte conferenze ed eventi per divulgare metodi e ricerche. Come immagini l'evoluzione del ruolo di questo mestiere nei prossimi anni, considerando i significativi cambiamenti che stanno avvenendo (ndr Intelligenza artificiale), e che ci sono stati negli anni passati?

Ritengo che il design grafico, ancor più di altre discipline del design, sia in uno stato di profonda crisi, forse la peggiore dalla sua nascita come campo professionale, e allo stesso tempo stia entrando in un periodo di grande opportunità. Siamo a un punto di svolta, a un gran respiro prima che l'onda di dispieghi nuovamente. È, direi, una crisi adolescenziale, di quelle che fanno male ma sono necessarie verso la maturità. Mentre l'analisi del design grafico è caduta silente, la committenza rimane limitata e generalmente ignorante, e le prospettive economiche rimangono confinate in una diffusa precarietà, osservo anche una grossa opportunità di crescita e risveglio. Stiamo avendo alcune delle discussioni più importanti che il campo abbia mai affrontato, centrate sull'inclusione, il ruolo dell'estetica, l'espansione del canone e la relazione con l'ornamento. Ci stiamo svegliando dopo decenni di visione limitata e ci stiamo re-interrogando sul nostro significato. Una nuova generazione con aspettative precise di sostenibilità (ecologica, personale, finanziaria, emotiva, sociale) sta entrando il campo professionale, e porterà con sé un respiro e un lavoro nuovi. Non sono preoccupata per l'intelligenza artificiale, fintantoché saremo noi intelligenti abbastanza da formulare un linguaggio sul valore incalcolabile che la mano che progetta porta nel mondo; ma sono anche disillusa sul fatto che, nell'attuale sistema economico, la creatività è sotto continuo tentativo di automazione. E mentre non si può mai automatizzare la creatività, o l'artigianato, si può però fare un lavoro mediocre o diverso. Quello che temo è la capacità come esseri umani di abituarci a un lavoro mediocre (come in Svezia dove vivo, dove amano il gelato fatto male perché le condizioni per fare il gelato fatto bene non sussistono più). Come dicevo, il design (come il gelato fatto bene) è un atto di cura e empatia — entrambe cose che non si possono simulare, copiare o programmare, solo fare. Il nostro campo professionale è il più pervasivo al mondo, ed è necessario difenderlo e celebrarlo, creare una voce collettiva fiera e cosciente. Mi aspetto che le nostre organizzazioni di settore investano tempo per crearci le giuste condizioni di dialogo con la committenza, anziché solo tra noi stessi. Mi aspetto che la pedagogia cambi radicalmente, aprendosi a approcci più inclusivi e dinamici, e stabilendo un filone di ricerca accademica ben finanziato e basato sulla pratica. Il "mestiere" deve tornare al centro con le condizioni per non rimanere un'operazione di nicchia, ma di quotidiana celebrazione collettiva della nostra ragion d'essere. Sorrido quando vedo chi vive nell'illusione o speranza che non si lavori più, e ripenso ai miei studenti, a me stessa e ai miei colleghi, e a chi con noi contribuisce alla pratica della cura artistica, sentendomi grata verso chi lavora non solo perché deve, ma soprattutto perché può.

Tensta Konsthall identity, 2023

Come vedi il mondo dell’istruzione nell’ambito del design in Italia?

L'istruzione al design in Italia soffre da una parte delle problematiche italiane (primariamente di un grosso problema di stagnazione, nepotismo, mancanza di cultura del merito, iper-celebrazione della tradizione e maschilismo) e dall'altra di una problematica più generale sofferta a livello internazionale per cui le scuole che insegnano un mestiere (come il design) si stanno "accademizzando", trasformandosi in istituti che non hanno come ragion d'essere quella di insegnare un mestiere, ma quella di dare un lavoro a chi può — o pensa di poter — insegnare. Il trend è di dare priorità ai meriti formali, portando a insegnanti senza esperienza di pratica e a una iper-celebrazione della "interdisciplinarietà" (che di frequente diventa pretesto per non insegnare nulla di specifico) che in ultimo porta gli studenti al fallimento professionale.

L'Italia ha anche un gran bisogno di spazi educativi adeguati alla formazione artistica, con laboratori e spazi sul modello, ancora troppo raro, dell'università di Bolzano (o di Konstfack a Stoccolma, o l'Università di Bergen in Norvegia).

È chiaramente un problema di risorse, ancora troppo scarse e della generale riluttanza a riconoscere il settore creativo come fondamentale e degno di investimenti adeguati. È urgente lo stabilimento di una pedagogia del design grafico inclusiva nei contenuti e nelle metodologie, che fa spazio a docenti di pratica, a docenti e dirigenti donne, a metodologie di critica e tutoring non violente, a una interpretazione del design grafico come parte della cultura visiva globale, e dai contenuti al passo con le domande pressanti della società. Date queste condizioni, gli studenti ne escono rafforzati, preparati e creativamente autosufficienti.

Vedo del buon lavoro, attualmente, nel Sud Italia e nelle iniziative indipendenti degli studenti, che naturalmente si trovano ad aver perso fiducia nelle istituzioni che inabitano. Trovo del merito nel modello svedese di un termine di 10 anni per i professori di comunicazione visiva, per assicurare un ricambio, ma queste strategie devono essere supportate da una visione e volontà ferme di innovare e mantenere la pedagogia connessa alla vita, e al campo professionale.

Come vedi il ruolo del giovane grafico in Italia?

È un ruolo, se si vuole fare bene il mestiere, che richiede completa dedizione, capacità professionale e flessibilità, e una gran intelligenza perché bisogna diventare esperti in una serie di competenze che vanno ben al di là dell'impostazione grafica. Come ho detto in una risposta precedente, il campo professionale è in crisi profonda.

Vorrei che la generazione che sta entrando la professione possa trovare organizzazioni di settore forti e una committenza formata, ma c'è ancora tanta strada da fare.

Everything has a name, ornamental curtain, 2020

Che consiglio daresti al giovane grafico che si approccia al mondo del lavoro oggi in Italia?

Ho imparato che nel campo creativo il talento è importante, ma la determinazione è ancora più importante. Bisogna agire non per paura ma per fede e accettare un percorso incrementale, anche nel gesto di design — trovo che sia più utile pensare al design grafico come a una scultura, che migliora gradualmente. È fondamentale trovare la propria unica voce visiva, e esercitarla.

Alle giovani grafiche che approcciano il campo professionale direi: trovate un posto in cui potete ricostruire le vostre forze; trovate alleanze e costruite una rete di solidarietà; coltivate il vostro approccio individuale nel portare un contributo nel mondo, e fate sì che il vostro percorso individuale possa essere un percorso collettivo.

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