Viviamo in un’epoca dominata dalle immagini, che ci influenzano costantemente, ma la loro semplice visualizzazione non garantisce una comprensione critica.
Nell’era postmoderna, le immagini ci mostrano ciò che non possiamo vedere a occhio nudo, come i raggi X scoperti da Roentgen nel 1895, o prospettive “non normali”, come la visione dall’alto. Martin Heidegger, il primo a riflettere su questi temi, sosteneva che l’immagine del mondo moderno non rappresenta più solo la realtà, ma il mondo concepito come immagine.
Un aspetto cruciale nelle arti visive è la scelta dell’inquadratura, una pratica antica che affonda le radici nel Rinascimento. Leon Battista Alberti, nel suo trattato De Pictura (1435), concepì il quadro come una “finestra aperta sulla realtà”. Da allora, l’artista ha scelto con attenzione la porzione di realtà da rappresentare, sapendo che l’inquadratura condiziona profondamente la percezione dell’opera. L’inquadratura non è neutrale: è una decisione estetica ed etica, che plasma la narrazione visiva e il messaggio dell’opera.
Nel tempo, artisti e creatori hanno sperimentato il taglio dell’immagine, usandolo come linguaggio. Un primo piano svela l’intimità di un volto, una panoramica trasmette l’immensità di un paesaggio.
In questa tesi esploreremo quindi l’inquadratura e il taglio, dall’etimologia della parola “immagine” alla narrazione visiva, la percezione e la composizione. Analizzeremo casi studio tratti da pittura, cinema, fotografia e grafica editoriale, e vedremo come diverse tipologie di taglio trasmettono significati diversi.