Image by Alan Chies, 2025

Federico Barbon è un graphic designer specializzato in web design, branding e design editoriale. Ha studiato all’ECAL di Losanna in Svizzera dove si è laureato nel 2019. Attualmente lavora come disegnatore di libri per diverse case editrici (Witty Books, Humboldt, Triest Verlag, Disko Bay, Birkhäuser Verlag) e collabora con ECAL. Recentemente ha disegnato il catalogo della mostra di Vera Lutter presso la Fondazione MAST.

L'editoria oggi vive una fase di forte trasformazione: da un lato, la crisi della carta e la digitalizzazione, accelerate dalla pandemia, hanno ridotto le tirature e i margini. Dall’altro lato, assistiamo a un fermento crescente nell’editoria indipendente, che spesso punta sulla qualità e sulla sperimentazione. Tu, che hai una forte propensione verso questo ambito, come ti relazioni a questo scenario in mutamento?

Cerco di stare al passo con i mutamenti guardando sempre a ciò che mi circonda, soprattutto viaggiando molto, incontrando autori ed editori, parlando con loro e partecipando alle fiere di settore, come Offprint a Parigi o Miss Read a Berlino, solo per citarne alcune. Ogni anno acquisto molte delle nuove pubblicazioni che mi interessano e mantengo contatti costanti con colleghi che operano in questa specifica area, sia in Italia che all’estero.

Jan Tschicholds Bibliotheek Uitgepakt, Ecal, 2024

Essere freelance, nel contesto italiano, è spesso visto come una scelta coraggiosa, se non azzardata: in un paese storicamente legato al "posto fisso", sempre più giovani designer decidono invece di lavorare in autonomia. Quali sono, secondo te, i vantaggi e le difficoltà principali del lavoro da freelance? E come vivi questa condizione nel quotidiano?

Ho iniziato lavorando come freelance all’estero, in un momento complicato come quello della pandemia da Covid. È stato un esordio in un contesto completamente diverso, per poi approdare in Italia. Qui, fare il freelance non è semplice come in altre parti d’Europa, ma bisogna ingegnarsi: costruire una rete di professionalità, collaborare con altri, oppure portare avanti progetti personali nei momenti in cui c’è meno lavoro. Si tratta di trovare stratagemmi per restare sempre attivi.

Durante il tuo percorso di studi hai frequentato l’École cantonale d'art de Lausanne (ECAL), una delle scuole più riconosciute a livello europeo. Rispetto alla tua esperienza formativa in Italia, quali sono le principali differenze che hai riscontrato? E quali aspetti di quell’approccio educativo ti hanno maggiormente influenzato come designer?

Studiare in Svizzera, all’ECAL (École cantonale d'art de Lausanne), mi ha permesso di entrare in contatto con persone del mondo del design che, altrimenti, non avrei mai avuto occasione di incontrare. Durante un workshop, nell’ultimo semestre del primo anno, ho conosciuto Florian Lamm, un grafico tedesco con cui ho stretto una forte amicizia. In seguito ho avuto la possibilità di fare una bellissima esperienza professionale nel suo studio a Lipsia, insieme al suo socio Jakob. Da loro ho imparato moltissimo dal punto di vista professionale, cosa che – devo dire – in Italia succede raramente.

L’ECAL è un’università estremamente intensa, dove si lavora come in una fabbrica: non ci si ferma mai. Per tre anni è stato così, ed è qualcosa che mi porto ancora dietro. Ho sempre bisogno di fare, non riesco a stare fermo.

Symposium invitation, Jan Tschichold, 2023 (Image by Pietro Bucciarelli)

Dopo l’esperienza in Svizzera hai scelto di tornare in Italia a Treviso, dove oggi hai il tuo studio, pur continuando a collaborare con realtà internazionali, soprattutto in Germania. Cosa ti ha motivato a rientrare? E in che modo vivere e lavorare in una realtà più decentrata si riflette sulla tua pratica professionale, anche alla luce delle collaborazioni internazionali che continui a portare avanti?

Sono rientrato in Italia per motivi familiari, ma anche perché la Svizzera iniziava a starmi un po’ stretta. Nel 2022, per un anno e mezzo, ho condiviso uno studio a Udine, in un bellissimo palazzo progettato da Gino Valle, con lo studio Multi Form. Mi hanno accolto a braccia aperte, siamo diventati molto amici.

Nel 2024 mi sono trasferito a Treviso, dove oggi condivido uno studio, poco fuori dal centro, con il politologo Paolo Feltrin e altre tre persone. Nonostante questo spostamento, continuo a lavorare con realtà all’estero, quindi viaggio spesso. Qui ho una base, ma in fondo la mia base potrebbe essere ovunque.

Parallelamente alla tua attività progettuale, hai insegnato in realtà accademiche come NABA e SPD, invece oggi insegni alla SUPSI. In che modo l’insegnamento nutre o influenza il tuo lavoro in studio? E viceversa, cosa cerchi di trasmettere agli studenti a partire dalla tua esperienza sul campo?

Per me l’insegnamento è un momento prezioso, in cui mi metto davvero in discussione. Incontro persone di ogni tipo e cerco sempre di capire le esigenze degli studenti, ascoltando molto. Mi lascio stimolare dalle loro esperienze e, in realtà, imparo tantissimo da loro. Cerco di restare sempre al lavoro, in continuo aggiornamento, perché per far crescere la mia carriera professionale ho bisogno di imparare qualcosa di nuovo ogni giorno.

Vera Lutter Spectcular, Fondazione MAST, 2025 (Image by Matteo Pasin)

Come vedi il mondo dell’istruzione nell’ambito del design in Italia?

Credo che in alcuni casi ci sia bisogno di evolvere di più, guardare meno "al regno", all’interno del proprio mondo, e aprirsi di più a ciò che sta fuori.

Come vedi il ruolo del giovane grafico in Italia?

Sempre di più, il designer è una figura ibrida, a metà tra un manager e un creatore di contenuti visivi: deve stare al passo con i tempi.

Federico Barbon Studio, Assembly, 2025 (Image by Matteo Pasin)

Che consiglio daresti al giovane grafico che si approccia al mondo del lavoro oggi in Italia?

Il consiglio che mi diede mio padre – anche lui designer, oggi in pensione – è semplice ma fondamentale: curiosità e intraprendenza sono sempre la formula che può fare davvero la differenza.

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